I nitrati e i fosfati contenuti nei fertilizzanti solitamente utilizzati in agricoltura possono rimanere nel terreno e continuano ad avvelenare il terreno stesso e le falde acquifere.
I rischi purtroppo non sono calcolabili.
Questo è ciò che si evince da uno studio pubblicato dalla rivista scientifica americana Proceeding of the National Academy of Sciences che ha analizzato gli effetti di alcuni componenti chimici presenti nei fertilizzanti agricoli. Ciò che più preoccupa, però, è questo studio si basa su un’analisi di fertilizzanti a trent’anni dalla loro dispersione nel terreno.
A distanza di decenni, sostanze come il nitrato di azoto, altamente inquinante, rimangono depositate nel terreno. La percentuale è allarmante, si tratta di circa il 12-15%. Se si aggiunge a tutto ciò che queste sostanze possono rimanere nel suolo anche per mezzo secolo, è ragionevole pensare che l’essere umano, gli animali, e la vegetazione siano a serio rischio avvelenamento.
L’agricoltura intensiva viene praticata con fertilizzanti azotati, ammoniache e ossidi di azoto che sono sostanze altamente dannose.
Per cercare di limitare i danni gli agricoltori europei hanno cominciato ad utilizzare nuove tecniche utilizzando alcune piante, come la colza, con le quali intrappolare gli additivi chimici dannosi in eccesso.
In America, dove tra gli anni ‘70 e ‘90 l’uso spregiudicato di fertilizzanti nelle grandi coltivazioni di grano ha causato una massiccia dispersione in mare di milioni di tonnellate di fosfati che hanno letteralmente ucciso la vita marina di una vasta zona di mare nel Golfo del Messico.
Non si può più procrastinare, occorrono misure immediate per limitare l’uso di fertilizzanti azotati in agricoltura perché i danni che provocano sono ingenti, ma soprattutto servono politiche mirate ma che allo stesso tempo tengano conto delle caratteristiche di ogni paese. Servono anche politiche comunitarie condivise, in Europa come nel resto del Mondo per far fronte a questo problema prima che sia troppo tardi.